Se al tempo di mia nonna, sarta e a suo modo estrosa stilista, rigirare un cappotto era soltanto uno stragemma per mascherare l’aspetto un po’ consunto di un capo che oramai aveva fatto il suo tempo, e aggiungere una decorazione in più era l’unico sistema per coprire un rammendo troppo vistoso, oggi patchs, bottoni, cuciture a vista e stoffe diverse mescolate tra loro sono la norma, basti pensare ai “pasticciatissimi” capi di firme quali Desigual o Save the Queen.
Ma ciò che ho scoperto essere ancora più trendy è ciò che in gergo si chiama refashioning, o refashioned clothing (un’occhiata a questo sito può chiarire le idee: http://nikkishell.typepad.com/wardroberefashion/dress/): in pratica abiti a cui viene cambiata destinazione d’uso, e che vengono trasformati e ricombinati tra loro, ma in modo da lasciare ancora intuibile la loro funzione originaria, in pratica lasciando a vista tutto ciò che mia nonna avrebbe disperatamente tentato di nascondere! Navigando qua e là nella rete già avevo visto come riutilizzare vecchie cravatte, che si possono trasformare in abiti (gonna), cinture, borse o collane; ma mi ha sorpreso la grande varietà di abiti realizzati con parti di pantaloni, calzini e vecchie felpe presentati negli stand di Vintage Selection, che ha avuto luogo a Firenze alla fine di gennaio.
Ancora una volta ilweb è
stato rivelatore in proposito, e mi ha suggerito tante idee diverse: pantaloni trasformati in gonna (che ho interpretato così), camicie maschili o t-shirt che diventano mini abiti o gonne (gonna/camicia; gonna/t-shirt; gonna/t-shirt; miniabito/camicia), o ancora magliette a cui si aggiungono le maniche in altro materiale. Certo, è vero che se un capo è inesorabilmente “finito” è difficile trasformarlo in qualcosa di portabile, e quindi non di vero e proprio riciclo si tratta; ma è pur sempre un’idea risparmiosa per rinnovare un po’ l’armadio (qui i miei esperimenti)!